Daniela Savini

di Roberta Fiorini (Critico d'arte- Firenze)


Daniela Savini la possiamo incontrare, per conoscerla, attraverso percorsi diversi quanto meno dal punto di vista più evidente della tematica certamente non unica: così la natura, i luoghi della memoria (la sua terra abruzzese) o i ritratti, dunque l'uomo, la figura. Ma c'è unicità nel suo procedere con una ricerca che è al tempo stesso estetica ed interiore, due indagini che l'artista persegue come fossero argomentazioni inscindibili. Del resto ce lo dice la sua stessa formazione che si è rivolta all'arte sia dal punto di vista della preparazione tecnica (con il Liceo Artistico) sia della preparazione storico-filosofica (con la Laurea in Conservazione dei Beni Culturali e poi il Diploma in Archivistica Paleografia e Diplomatica): una scelta di approfondimento dunque che vuole essere poliedrica ma anche costruire un solido ponte tra passato e presente, tra archetipo e attualità, per rispondere all'esigenza di riconoscere le proprie radici e insieme focalizzare un'origine idealmente universale.

Questo suo bagaglio culturale fortunatamente non diviene mai iconografico; la Savini infatti rifugge citazionismi quanto simbolismi nel suo linguaggio visivo e anzi ci porge un realismo di immagine il cui carattere fluidamente muta con la crescita e il nutrimento costante della propria espressività. Ecco allora che i suoi referenti culturali che l'artista stessa dichiara - fra tutti Cesare Pavese e la sua lettura del mito - non si palesano in termini di trasposizione figurativa bensì costituiscono l'humus del terreno sul quale la Savini evolve e sviluppa i propri temi. Temi che possono anche essere universali ma che rivivono rapportati alla sua personale esperienza di vita: come la ricchezza espressiva della natura, come la languidezza del ricordo di tempi passati che ritroviamo nei luoghi e spazi fatti di silenzi, nella sensibilità che l'artista mostra nel cogliere la magia di un gioco di luce ed ombra; e poi in altri umori, in umori nuovi, quella natura diventa teatro di un racconto intimistico e di un percorso alla ricerca di se stesso (così leggiamo la figurina rossa nei suoi paesaggi dai riverberi brillanti, l'io, in viaggio dentro il proprio immaginario. In altri spartiti la materia pittorica trova nuova consistenza e lo spessore con cui esegue i bianchi ci fa percepire al tempo stesso l'immagine della neve e pure un desiderio di maggior astrazione ed essenzialità narrativa: la stessa essenzialità che connota le sue figure, con pochi elementi di scena e di colore ma sempre così pregnanti nel loro sguardo- ora vuoto ora silenzioso come quei luoghi montani - e si rivolgono ad un dialogo muto quasi cercando di imporsi a motivo di riflessione e non per raccontare di se ma dei tanti quesiti filosofici e psicologici che vivere comporta.

In questo cammino di esperienza artistica dobbiamo considerare che savini è un autore giovane e dunque non possiamo pretendere da lei risposte a tali quesiti ma mi preme sottolineare quanto invece sia apprezzabile che lei attraverso l'arte ci ponga domande: fare arte non solo per offrire godimento estetico ma per partecipare agli altri l'emozione di una continua ricerca di equilibrio e di armonia perché noi vediamo che nei suoi testi visivi c'è una sorta di amarezza ma insieme c'è anche un respiro di speranza, un'energia che è volontà di istituire una nuova correlazione, volontà di rendere meno silenzioso il dialogo."


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